Jorge Eielson : La scala infinita

15 Gennaio - 14 Febbraio 1998
“Le cose derivano il loro essere e la loro 
natura dalla mutua dipendenza, 
in sé e per sé non sono nulla.”
Nagarjuna
Nella mia personale idea dell'arte, dire non è necessariamente comunicare. E' perciò che ho fatto ricorso soprattutto alla poesia scritta - che circonda più strettamente il silenzio del dire, dello scrivere e della stessa lettura - e alle immagini astratte, che non comunicano esplicitamente nulla, ma qualcosa che va più in là di ogni linguaggio, e che, pertanto, anche se sommessamente, sta dicendo molto. Per la stessa ragione, in alcune delle mie performances ed installazioni, faccio ricorso ai suoni, piuttosto che alla musica composta, salvo una volta che ho usato un brano di John Cage, tutto giocato però, al limite del silenzio. E' per tutto questo - perché questa è la mia vera natura - che mi sono avvicinato al buddismo zen da una parte, e alla storia e alla filosofia della scienza, dall'altra.
 
Tutto questo, unito ad altre forme di creatività e di sapere, che non è il caso di elencare qui, hanno fatto di me ciò che probabilmente desideravo essere: un crocevia di culture che, parallelamente a quello storico e biologico implicito nelle mie origini, mi fornisse una visione più completa ed armoniosa della realtà. Purtroppo, quasi mai trovo un equivalente di questa visione nel mondo reale in cui viviamo. In questa realtà, così scissa e paradossale, quale senso può avere un lavoro come il mio? E, in quale modo, il fatto di essere nato in uno dei paesi più antichi e sventurati del pianeta, può avvallare od esautorare una posizione come la mia? Si potrebbe dire che la ricerca artistica, come quella scientifica, è un'attività separata dalla problematica esistenziale, sia essa privata o collettiva. Ma io non condivido questa posizione. Credo piuttosto, che in ogni essere umano coesistono, strettamente legate, delle inconsce aspirazioni al sacro, al meraviglioso ed al magico, congiuntamente con un'indomabile istinto di sopravvivenza che, nei migliori, si tramuta in solidarietà e difesa dei più umili. Non c'è vero artista, né vero uomo di scienza sprovvisto di questa dimensione umana, fonte insieme di indignazione, di gioia e di inesauribili energie creative. La bellezza, fine ultimo dell'arte, che nasce da questo humus storico e umano, dovrebbe essere un diritto di tutti ed un dovere per ogni artista, come la verità - altra forma della bellezza - è per l'uomo di scienza. Un dovere che implica integrità, responsabilità, generosità, amore per la natura e verso il prossimo, oltre all'immaginazione, libertà, stupore, curiosità, pazienza, ribellione, trasgressione, umiltà.

Per quanto mi riguarda, forse la mia apparente attività multipla non è in verità che una sola: la paziente opera di qualcuno che utilizza diversi codici linguistici - plastici, sonori, verbali - per tessere una sorta di rete, sempre più stretta, al fine di afferrare l'evanescente realtà ultima - ugualmente perseguita per altre vie - allo scopo di, in qualche maniera, renderla benefica agli altri. Al pragmatismo tecnologico dilagante, l'arte può, e deve, opporre la sua potente e intatta carica critica, generatrice di modelli sempre nuovi ed antichissimi allo stesso tempo, siano essi estetici, etici o sociali. E' una banalità dire che ogni società e ogni tempo ha l'arte che si merita, giacché la vera arte non riflette passivamente un'epoca, ma propone modelli. L'arte non copia mai, e tanto meno la società, in cui si manifesta. Casomai è più la società che copia l'arte, come argutamente diceva il vecchio Wilde.
Ma, tornando alla mia personale posizione, non bisogna dimenticare che la metafora della rete, come quella del nodo (e non c'è rete senza nodi, evidentemente), è anche la metafora dell'esistenza. Fin dalla catena di nodi spiraloidi che costituisce il DNA primordiale della vita, fino all'insondabile pacchetto di nervi e neuroni che conformano quel miracolo dell'evoluzione che è il cervello umano, tutta la nostra esistenza è la storia di una struttura che, per sopravvivere, deve continuamente inventarsi un'infinita rete di informazioni e rapporti interattivi che allarghino il suo orizzonte vitale, Quindi, la metafora della rete ha un suo fondamento biologico piuttosto preciso. Ma c'è di più. Stephen Jay Gould, enfant terrible della biologia contemporanea, e uno dei padri del neo-darwinismo, afferma che l'evoluzione non procede linearmente, univocamente, né con rigidità attribuitale dal grande nonno inglese, ma si manifesta a salti, avanti ed indietro, sopra e sotto, e perfino ai lati, seguendo l'azzardata e complessa realtà naturale. Niente di più in contrasto, insomma con la società contemporanea, che tanto ama l'omologazione ed il conformismo massivo diffuso dai soliti mass-media e dal mercato. Il che, come ricadute, produce diverse forme d'intolleranza e di violenza, indegne di qualsiasi civiltà. (Si vedano le povere mucche affettate e messe in formalina, dentro bacheche di plastica, di Damien Hirst, che riecheggiano fin troppo facilmente la gratuita violenza giornalistico-televisiva dei nostri giorni). Non deve sorprendere allora, che gli artisti e i ricercatori scientifici più responsabili non riescano, e in molti casi non desiderino partecipare direttamente alla vita sociale e politica di un simile ordinamento. A meno di non nascondere sospette aspirazioni economiche e di potere, cosa che, purtroppo ogni tanto accade anche.
Queste considerazioni che, apparentemente, s'allontanano dalla motivazione centrale di queste righe, vogliono solo chiarire la ragione profonda d'un lavoro che, come il mio, sembrerebbe estraneo alla realtà quotidiana e perfino chiuso in se stesso. Non so se ora appare più chiaro il mio atteggiamento riguardo al linguaggio della comunicazione e dell'informazione, sia verbale che visuale, così diametralmente opposta al linguaggio della poesia scritta e delle immagini dell'arte, (salvo nei rari casi di messaggi pubblicitari particolarmente innovativi, a volte più incisivi di molte cosiddette opere d'arte). Questo linguaggio, che è anche proprio della religione, della filosofia e del mito, raggiunge forse la sua forma più alta nel linguaggio matematico, musicale e geometrico (vedi, ad esempio, la straordinaria eleganza concettuale della geometria dei frattali), il cui grado di astrazione ha tanti punti in comune con l'arte del nostro tempo, come accadde anche presso i pre-socratici, e nelle differenti forme di filosofia, poesie e religioni orientali. La scissione operata da Aristotele è la prima causa d'una situazione che, fino agli albori del nostro secolo, ci ha legati ad un modello logico-deterministico difficile da superare. E' solo con la teoria della relatività generalizzata di Einstein, e con la meccanica quantistica di Planck, che il vecchio universo cartesiano e newtoniano incomincia a cedere, fino alle ultime posizioni della ricerca pura, i cui risultati, in molti casi, provocano in me emozioni così profonde come quelle delle maggiori opere d'arte. Paul Feyerabend, il filosofo austriaco recentemente scomparso, che fu un agguerrito difensore di questa visione organica e unitaria, lottò fino all'ultimo contro alcune forme di specializzazioni esacerbate, che tanti pregiudizi iniettano in una società già così orientata al pragmatismo. Pregiudizi da una parte, e imprecisioni propriamente scientifiche dall'altra, giacché, ad esempio, non si può studiare per anni la penultima vertebra della coda d'una rara specie di lucertola australiana, senza perdere di vista la realtà interiore dell'animale, non solo dal punto di vista del suo habitat naturale, ma anche da quello sociale. Questo mi ricorda, per absurdum, quella bella mattina di primavera del 1964, a Roma, quando in un sogno (proprio così, come ai tempi dei bravi sognatori), vidi per la prima volta delle opere realizzate con dei tessuti annodati, che mi sembrarono di grande bellezza. E' vero che, poco prima, avevo annodato alcuni indumenti, che avevo già trattato in tutte le maniere con le quali è possibile trattare un tessuto. (Il mio interesse per la funzione sociale e rituale dei vestiti è presente anche nelle mie poesie e nei due romanzi scritti in quello stesso periodo), Ma il nodo, il vero nodo, mi aspettava là, in un semplice sogno. Oggi, quando la nuova teoria dei nodi è già una delle discipline scientifiche più affascinanti, e che quei misteriosi oggetti topologici attirano la curiosità di tanti studiosi, fino agli estremi della speculazione astratta più sofisticata (abbiamo il recentissimo esempio dei nodi virtuali di W.P. Thurston, che lui definisce no-knots, ottenuti con il super-computer dell'Università del Minnessota), chi l'avrebbe detto, che quel umile sogno d'artista ed i suoi goffi tentativi per realizzarlo attraverso gli anni, correva parallelo in altri campi del sapere, con altre persone che perseguivano quell'altra bellezza del mondo, che in qualche maniera, esalta ed avvalla quella raggiunta dall'arte. Ma non è questo ciò che veramente mi interessa. Dopotutto, è risaputo che spesso l'intuizione degli artisti precede o interpreta inconsciamente alcune istanze della propria epoca, (quello che in lingua tedesca si definisce come zeitgest, o spirito del tempo). No. Ciò che invece mi entusiasma è l'aver scoperto, forse, la peculiarità della penultima vertebra della lucertola, cui alludevo prima, - che per me sarebbe il nodo -, ma senza aver mai trascurato il resto dell'animale! Ed è questo che mi ha portato, naturalmente, ad una diversificazione della mia espressione fino al raggiungimento d'una concezione globale che continua a costruire una rete di codici linguistici, il cui dialogo tra essi stessi, è per me una continua scoperta. In questo modo, siano le parole, che sono anche nodi di significazione, e i nodi, che sono anche parole, cioè oggetti significanti, si manifestano simultaneamente in un universo misteriosamente caotico e ordinato, retti soltanto dal numero e dal caso, nel quale l'essere umano partecipa con sovrano e libero arbitrio. Un esempio visuale di questa concezione è la mia serie “Nodi come stelle, stelle come nodi” del 1990-93, in cui i nuclei di colori (i nodi) proliferano sullo spazio bidimensionale, fuori e dentro le coordinate celesti, creando una “caotica” pioggia di valori cromatici dinamici che conformano una vera e propria galassia. In un altro caso invece, - questa volta si tratterà di poesia visuale - le lettere della parola “stelle” sono disposte su di un foglio di carta blu, formando una costellazione, leggibile in diverse posizioni. In questi lavori, come in altri, il nodo propriamente fisico e manuale è stato sostituito per mezzo di una metafora o di un'idea. Come nella topologia dei nodi, questi si modificano con estrema flessibilità passando dal mondo fenomenico, tridimensionale e quotidiano, a dimensioni mentali, che talvolta sfuggono alla nostra percezione. Prova lampante che il vecchio modello della macchina, e del facile determinismo, è stato ampiamente superato, anche se per quanto mi riguarda, non ha mai penetrato la mia conoscenza. Questo mi permette di dire quel poco o nulla che ho da dire, quasi nei limiti del silenzio, quasi senza essere ascoltato, perché come le matematiche, la musica, o altre forme astratte, non ho nulla da comunicare, ma soltanto, forse, qualcosa da offrire a chi lo desideri, e cioè una percezione e un'esperienza altra, che va più in là delle parole, dei suoni, o delle forme. Una realtà apparentemente diversa, ma che in verità propone delle visioni e degli archetipi che giacciono in noi fin dagli albori della nostra conoscenza. Forse per questo, sempre ho dubitato dell'efficacia della scrittura per dire ciò che volevo dire, e questo si tramutava in immagini poetiche stranamente sontuose, ma corrose dal disincanto e dal dubbio. Solo più tardi, a Roma, ho incominciato a vedere chiaro in me stesso, grazie alle mie incursioni in altri campi del sapere e, soprattutto, al mio primo approccio al pensiero orientale, che fu una vera e propria rivelazione. Ho trovato là, finalmente, il silenzio che cercavo, il silenzio della meditazione estrema, e con essa ho dato forma definitiva ai miei pensieri, alle mie forme, ai miei spazi, al mio modo di concepire l'arte e la vita (unite in un indissolubile allaccio), senza mai pretendere che nulla mi fosse regalato, ma trattando di offrire sempre quel poco, o nulla, che ero in grado di offrire. Questa mia realtà ultima - la quale riflette una graduale dissoluzione dell'io, fin dove ciò è possibile per un occidentale, mi ha portato, nelle installazioni e performances, alla quasi cancellazione del reale e a una parallela sospensione del tempo. I vecchi vestiti degli inizi degli anni 60, ora vestono la nostra intera realtà quotidiana, la coprono con un fantomatico sudario, sotto il quale la vita continua, ma come in letargo. Il velo stesso si presenta stranamente rigido e flessibile alle volte, annodato e disciolto, pieno di anfratti, di ombre e di luci, di pieni e di vuoti, di curve, sporgenze, soffici voragini, silenzio. Per far risaltare, come in negativo, quell'altra dimensione della vita, tra presente ed assente, tra visibile ed invisibile, che non è la morte, ma la stessa vita, quando non viviamo veramente, ma non siamo ancora morti. Il letargo, tuttavia, la bianca palude dell'anima distratta, offre una via di salvezza: l'accesso agli spazi superiori, racchiuso nell'umile immagine di una scala di lavoro, pazientemente rammendata, legata senza sosta, fino al raggiungimento della vera vita che, paradossalmente, non sta così in alto, ma a portata delle nostre mani, a condizione di non lasciarsela sfuggire.