Le terrecotte di Djenné presentano una comune tecnica di lavorazione, ma si differenziano per varietà iconografica e forma stilistica. Chiunque le osservi resta subito colpito dalla potenza dormale e dalla padronanza della tecnica di lavorazione. L’argilla è materia duttile e si presta alla fantasia e all'estro. Tra le sculture di Djenné si osservano forme tanto veristiche quanto fantasiore. Sostanzialmente, la tecnica è quella dell'inggobbio, ossia di un ritorno sulla prima lavorazione a colombino, lisciata, poi superficialmente, oppure sulla costruzione di elementi a parte, torso, testa e braccia, uniti e poi lisciati.
(B. Bernardi, Le terrecotte di Djenné, in Terra d'Africa, terra d'archeologia, Alinari, Firenze, 1990)
Le statue di terracotta rappresentavano gli dei degli "antichi abitanti" dei siti abbandonati. Ogni dio aveva una determinata posizione corporea nella quale si doveva venerarlo, cioè indicava la posizione che il fedele doveva ssumere al momento del raccoglimento.
Ogni gesto infatti riproduce una preghiera corporea.
(tratto da B. De Grunne, Le ultime ricerche sulla scultura in terracotta del Mali, in Terra d'Africa, terra d'archeologia, Alinari, Firenze, 1990)
I riti connessi alla statuaria di terracotta consistevano in preghiere e sacrifici. Si dice che le vittime designate potevano essere umane, oltre agli animali come l'agnello, il pollo, il cavallo, il toro. QUella umana preferita era l'albino.
Persino nei sacrifici animali, il colore della pelle giocava un ruolo importante, benché sull'argomento non si abbiano dati sufficienti per dedurre sistematicamente la portata dei diversi colori. Durante il rituale, si uccideva la vittima e si versava il suo sangue sulla statua.
(tratto da B. De Grunne, Le ultime ricerche sulla scultura in terracotta del Mali, in Terra d'Africa, terra d'archeologia, Alinari, Firenze, 1990)
Arte antichissima in tutto il mondo, il primo esemplare africano - una statuetta di donna proveniente da Aniba, in Nubia - va datato 2000/1700 a.C.
Vengono poi le terrecotte di Nok, ritratti di re di grande evidenza realistica, e le teste di regina di Ifé. Tra il X ed il XVII secolo i Sao ebbero del pari una ritrattistica fittile considerevole.
In questo caso non siamo più nella ceramica domestica, cotta nella cenere calda o in fuoco all'aperto, ma siamo in presenza di una tecnica da forno, di buona qualità. In tutta l'Africa il materiale primo, l'argilla variamente mescolata in modo naturale o tecnico, è abbondante e buono. Tuttavia gli elaborari sono relativamente fragili, perchè il forno a temperature elevate è scarsamente usato. Si giunge per solito ai 300 gradi
(tratto da G. Mandel, Capire l'arte africana, Gli stili, Lucchetti Editore, Bergamo, 1987)