15 dicembre 2012 | 30 marzo 2013
a cura di Alberto Fiz e Luigi Sansone
Il museo MARCA presenta la più vasta retrospettiva sinora dedicata ad Angelo Savelli (Pizzo Calabro, 1911 - Castello di Boldeniga, Brescia, 1995): 70 opere tra dipinti, sculture e ceramiche. La rassegna mette a fuoco l’opera di un protagonista trascurato dell’arte italiana del dopoguerra, un autentico innovatore le cui opere possono essere poste in relazione con gli esiti coevi di Lucio Fontana e Piero Manzoni.
La mostra presenta l’intero percorso dell’artista partendo dalle prime esperienze figurative degli anni Trenta, influenzate da Renato Guttuso, per giungere sino a Where Am I Going del 1993-94. Questo percorso, che copre oltre sessant’anni di attività, include alcune delle sue opere più emblematiche, sia nell’ambito dell’espressionismo astratto (White Space, già presente nel 1957 nella galleria newyorkese di Leo Castelli), sia in relazione al lungo periodo del “bianco”, iniziato nel 1957 con Fire Dance, in mostra insieme ad una serie di lavori d’impatto monumentale, come Grande orizzontale del 1960,Speranza del 1961, Senza titolo del 1962 o Going up del 1980.
La rassegna si avvale dei prestiti della Fondazione Prada, della Fondazione VAF-Stiftung, del Mart di Rovereto, della GNAM di Roma e del Museo del Novecento di Milano, a cui si aggiungono quelli della famiglia Savelli e delle collezioni pubbliche calabresi, come il Museo Civico di Taverna e il Centro Angelo Savelli di Lamezia Terme.
Savelli trasformò il bianco in un’inesauribile fonte d’ispirazione, dove, per dirla con Argan, il gesto pittorico ritrova una “prassi di contemplazione” attraverso una rinnovata concezione dello spazio.
“Inizialmente il bianco era legato al soggetto trattato, complementare a questo. In seguito è diventato supporto a se stesso, forza, senza essere legato a null’altro che alla propria energia“. Così si espresse Savelli rivelando il significato della sua ricerca, che crea un dialogo particolarmente proficuo e stimolante con i Concetti spaziali di Lucio Fontana, con i dipinti astratti di Barnett Newman o con le tele bendate dell’italo-americano Salvatore Scarpitta. Il legame con Scarpitta risale al 1945 quando entrambi erano soci dell’Art Club, e nel corso del tempo i due artisti hanno esposto insieme in diverse occasioni. Anche il rapporto con Fontana inizia alla metà degli anni Quaranta, quando entrambi espongono alla galleria del Naviglio di Milano. Da allora i due artisti hanno avuto contatti frequenti ed è stato proprio Fontana a sostenere Savelli nel 1964 in occasione del suo invito alla Biennale di Venezia, quando vinse il Gran Premio della Grafica.
Dopo gli esordi romani e la fase legata all’espressionismo astratto, la mostra affronta il periodo del bianco, in cui l’artista calabrese interviene sulla superficie delle opere, modificando i materiali (usa il bianco titanio e prima ancora la sabbia), trasformando i formati e utilizzando elementi concreti come le corde, che fanno la loro apparizione all’inizio degli anni Sessanta. “Credo che queste corde costituiscano il ricordo della mia infanzia, quando stavo sempre in riva al mare”, ha ricordato Savelli. “Ma se inconsapevolmente mi sono riferito al ricordo, la mia intenzione nell’inserire le corde nello spazio compositivo è stata quella di accompagnare l’occhio, in ritmo ellittico, dalla base all’alto dell’opera e viceversa. La linea tracciata dalla corda costituisce un accento dello spazio dividendolo e unendolo nello stesso tempo.” Le corde sono protagoniste anche nelle sculture e a dare il titolo ad una delle sue installazioni più famose, Dante’s Inferno, dove questo elemento è inserito in strutture verticiali, è stato Barnett Newman in visita nel suo studio a New York.
Negli anni Ottanta, la ricerca sulla geometria assume un particolare significato come dimostrano le opere prive di telaio esposte in mostra, con forme trapezoidali, triangolari o romboidali. Scrive Luigi Sansone “la geometria assume aspetti poetici e immateriali e le forme sono rese più aeree da un'apertura centrale anch'essa geometrica in cui, al posto della tela asportata, appare un sottile e trasparente velo bianco di nylon che limita anche i contorni”. È quanto accade in Going Up, del 1980, o in Dallas cross road, dove i rettangoli s’incrociano creando imprevisti punti di fuga. In queste opere non manca l’evocazione di Malevich, che nel 1918 realizzò il celebre Quadrato bianco su fondo bianco, al quale Savelli si sentiva particolarmente legato.
Per ricostruire la vicenda storica e umana di Savelli è presente in mostra una sezione in cui sono analizzati i rapporti di amicizia e di stima con gli artisti che, in periodi differenti, hanno influito sulla sua opera. Tra questi Guttuso, Afro, Dorazio, Fontana, Scarpitta e Rotella.
La mostra è accompagnata da un catalogopubblicato da Silvana Editoriale, che comprende i saggi di Alberto Fiz, Luigi Sansone, Tonino Sicoli, oltre a testimonianze storiche di Giulio Carlo Argan, Palma Bucarelli, Piero Dorazio, Renato Guttuso, Vanni Scheiwiller. Non mancano, poi, gli scritti di Angelo Savelli e gli interventi di Giuseppe Appella, Michele Caldarelli, Teodolinda Coltellaro, Fabrizio D’Amico, Flaminio Gualdoni, Marco Meneguzzo, Gianni Schiavon e Antonella Soldaini.
15 Dicembre 2012