L’arte, la libertà
Enrico Castellani
(lettera a Sandro Parmiggiani), Celleno, 3 luglio 1998, + 36°
(…) Ho dedicato, come tutti, la mia vita a tante cose: gli amori, l’impegno in politica,
le amicizie e, data l’attività scelta in giovane età, la pittura e le polemiche artistiche
ad essa attività connesse. Alla mia età certamente molto avanzata io non
mi sento tuttavia in animo di tracciare un bilancio che suonerebbe come chiusura
di una partita doppia che vorrei restasse aperta per quel tanto di intelligenza e di
passione residue ed addizionali a consolidamento di una vita. Ma proprio questa
età mi sconsiglia dal giudicare le esperienze più recenti. Per prudenza e forse anche
per carenza di informazione. Quando eravamo giovani, i più anziani ci consideravano
eretici ed iconoclasti, ed avevano ragione. Avevano torto nel demonizzarci
perché non usavamo i loro stessi mezzi ed il loro linguaggio. Ora, se c’è una attività
(non la definisco professione né mestiere) in cui è permesso, anzi doveroso, inventarsi
in tutta libertà le tecniche del fare più consone a veicolare il proprio linguaggio,
questa è proprio l’attività artistica.
La superficie è il luogo di infiniti incontri, di disperate attese, di tautologiche commisurazioni,
di sofferenze esistenziali e di utopistiche verifiche. Ma ciò detto, sulla
superficie si è visto di tutto nel bene e nel male; non penso perciò che il tubo catodico
magari inteso come superficie virtuale istantanea ed evanescente possa danneggiare
l’idea che noi abbiamo di ciò che è arte e che dovrebbe comunque rimanere
aperta a qualsiasi continua ridefinizione. Dipenderà da come lo si userà e con quale
metodo.
Mi preoccuperei piuttosto se questo mezzo fosse lasciato in gestione esclusiva di
chi lo usa per la produzione di video-clips che inducono a consumi inutili ed offendono
culturalmente e impoveriscono materialmente.
In quanto al segno inteso come di-segno, Andrea Cascella diceva che più che l’arte
riguardasse la ginnastica, una espressione muscolare quindi, non scevra però da momenti
di intelligente e raffinata strategia; come sosteneva per altra disciplina anche
il suo amico Gianni Brera.
Anche la scrittura richiede disciplina e fiato e consuetudine che io non ho, per cui,
considerata pure la canicola di questi giorni, mi pare saggio terminare qui (…).
Yohaku—Vacuità
Lee Ufan
L’ Arte è poesia, analisi e trascendenza. Ci sono due differenti cammini che conducono ad essa.
Uno è la materializzazione delle immagini interne dell’uno. L’altra è la combinazione dei pensieri interni dell’uno con la realtà esteriore. Esiste anche una terza via, l’esatta riproduzione della realtà, ma quest’approccio preclude le ispirazioni e i balzi dell’immaginazione, quindi non posso accettare questa come arte.
Io ho scelto il secondo cammino, il cammino dell’incontro tra l’interno e l’esterno.
Ciò che è importante in questo tipo di arte è il delimitare le parti del lavoro che creo, accettare le parti che io non creo ed instaurare una relazione dinamica in cui entrambi questi aspetti si compenetrino o si repellano l’un l’altro.
Io spero che questo rapporto conduca all’apertura verso uno spazio che sia poetico, critico e trascendente.
Io chiamo questo l’arte del yohaku – vacuità ( spazio riecheggiante).
Ciò che intendo con yohaku non è semplicemente lo spazio che nei dipinti di molti pittori rimane vuoto. Tale spazio è mancante nella realtà. Per esempio, se viene colpito un tamburo, il suono risuona nello spazio vuoto. Lo spazio di questa vibrazione, includendo il tamburo, è quel che io chiamo yohaku.
Per lo stesso principio, quando lo spazio bianco della tela è fatto vibrare dal leggero tocco di un pennello usando una tecnica raffinata, le persone possono percepire questa come l’autentica natura della pittura. I dipinti senza cornice instaurano una relazione con la parete e i riverberi pittorici si estendono da se stessi verso l’esterno nello spazio circostante.
Questa tendenza è perfino più evidente nella scultura. Per esempio, se io do una forte enfasi allo spazio attraverso la combinazione di una pietra naturale con una lastra d’acciaio piatta, l’aria attorno all’opera, piuttosto che il lavoro stesso, assumerà densità e l’area ove questi oggetti sono situati rivelerà vividamente se stessa essere un mondo aperto.
Pertanto, quando le parti dipinte e le parti non dipinte, le parti che io creo e le parti che non creo, l’interno e l’esterno interagiscono e riverberano in una relazione reciprocamente stimolante, questo è possibile dal senso della poesia, della critica e della trascendenza nello spazio. Yohaku in un’opera d’arte riguarda lo spazio di un evento che si è aperto attraverso un incontro tra sé e l’altro.