23 febbraio | 30 marzo 2009
a cura di Luca Massimo Barbero
Dal 21 marzo al 17 maggio la Collezione Peggy Guggenheim ospita Temi & Variazioni. Dalla grafia all’azzeramento, a cura di Luca Massimo Barbero. Concentrandosi sui dipinti e le sculture dall’inizio del XX secolo al secondo dopoguerra presenti nel museo veneziano e impreziosita con alcuni importanti prestiti, la mostra si snoda cronologicamente dalle avanguardie storiche alle tendenze più recenti dell’arte contemporanea in un percorso tematico che sviluppa la presenza del segno all’interno della composizione: dalla tipografia al collage, dalle lettere ai numeri, sino al ripetersi insistente di un gesto, di un segno per arrivare infine al monocromo che conduce all’inevitabile azzeramento. Nell’ambito di Temi e Variazioni, sarà la personale dedicata all’artista britannico Jason Martin a costituire uno spazio vibrante in cui si troveranno a convivere le infinite possibilità del dipingere. Tra i più interessanti pittori della generazione degli Young British Artists, Martin è stato chiamato ad interpretare il grado zero della pittura attraverso una serie di 13 opere espressamente realizzate per la mostra veneziana.Temi & Variazioni. Dalla grafia all’azzeramento gode del sostegno della Regione del Veneto.
Temi & Variazioni è una innovativa formula curatoriale inaugurata dalla Collezione Peggy Guggenheim nel 2002 con una serie di tre mostre dedicate all’arte del dopoguerra realizzate nell’arco di sei mesi da Luca Massimo Barbero. Oggi come allora, alla base del progetto espositivo di Temi & Variazioni. Dalla grafia all’azzeramento, rimane la volontà di guidare il visitatore verso una piena comprensione delle opere della Collezione Peggy Guggenheim attraverso la loro contestualizzazione storica e il dialogo con dipinti, sculture, installazioni provenienti da altre collezioni. All’interno delle stesse sale, capolavori appartenenti alle avanguardie del primo Novecento si confrontano tematicamente con opere del secondo dopoguerra, fino a lambire i confini della contemporaneità, in un percorso espositivo che rappresenta un’occasione unica per osservare l’evoluzione di temi e segni in nuove forme espressive.
Capolavori cubisti, futuristi, dadaisti e surrealisti: nello sperimentalismo dirompente di questa stagione, lettere, numeri e caratteri tipografici entrano a pieno titolo nell’opera e nella sua concezione, quali diretti prelievi di una realtà che viene analizzata e restituita nella propria dimensione linguistica e comunicativa. Dalla Manifestazione interventista di Carrà, dai Merzbild di Schwitters, dalla Farmacia di Cornell, alle rivisitazioni che dagli anni cinquanta ne offrono Rotella e Spoerri, la parola tipografica struttura e definisce l’immagine come esplosione sonora che scardina la sintassi visiva. Se da un lato la lingua dialoga con il materiale e l’iconico, dai dipinti polimaterici di Braque al collage di Gris, dall’altro la griglia resa assoluta dai segni radicali di Mondrian genera la nuova spazialità del Neoplasticismo di Vantongerloo e si confronta con l’esattezza minimalista di John McCracken. Il grafema invade in maniera evocativa le superfici plastiche e pittoriche di Tunnard, Licini e Bonfanti, sino a diventare scrittura muta e compulsava. Talvolta la pittura stessa si fa scrittura diretta sulla tela o sul supporto, come nelle opere di Scanavino, Novelli, Mirko, Pomodoro, altre volte investiga i fondamenti e le reciprocità dei differenti codici visivi, come avviene negli Alfabeti e nelle Impronte di Manzoni, nelle linee di Griffa, nelle frasi luminose di Merz e Nannucci, nelle panchine della Holzer, nei disegni di Tremlett.
Scrittura è anche geometria, che dagli elementi primi della visione di Albers e Nigro, si articola nelle trame e nelle esplorazioni percettive di Morellet, Nangeroni, Vasarely, sino alle indagini del Gruppo Zero e dell’arte cinetica. La grafia è anche colore, che si traduce negli spazi lirici, intermittenti, visionari di Tancredi, Tobey, Accardi, Dorazio, Ciussi, Aricò. In altri casi invece, grafia e scrittura si trasformano in un alfabeto simbolico e astratto, facendosi apostrofi, punti, sino a violare, visivamente e fisicamente, il supporto e diventare buchi e tagli nelle tele di Fontana, Dadamaino, Opalka o come accade nelle opere delle nuovissime generazioni di artisti rappresentati nella mostra da De Marchi e Arcangelo Sassolino.
Da questo ripetersi ossessivo di un simbolo o di un segno, si giunge infine alla necessità del loro azzeramento, attraverso una sorta di tabula rasa che comporta sia la purezza della materia sia il suo rarefarsi attraverso superfici minimali e totalmente monocrome: da Castellani a Bonalumi, da Vianello a Charlton, il monocromo scrive l’infinito attraverso il finito, nell’articolarsi di pagine pittoriche e plastiche dense di tutta la concretezza e fisicità della propria relazione con lo spazio che le circonda.