Nato a Bèziers nel 1924, Georges Noël crebbe a Pau. La sua famiglia possedeva un modesto negozio di vernici e ferramenta e suo padre partecipò alla restaurazione di diverse case e chiese della regione in qualità di specialista nelle tecniche di affresco, marmorino e pittura effetto legno.
 
Da ragazzo Noël assistette ai lavori del padre e fece propri i trucchi del mestiere. La sua situazione era, come gli piaceva dire “come quella di Georges Braque” (il cui padre era imbianchino): crebbe circondato da vernici, pennelli, colle, spugne, spazzole, cazzuole e spatole. Va poi aggiunto che suo padre era anche un pittore a livello amatoriale.
 
Nonostante Georges sapesse fin da giovane età di voler diventare un artista, dopo il liceo studiò storia dell’arte ed ingegneria, allo scopo di assicurarsi un futuro sostentamento. Durante l’occupazione tedesca fu attivo al fianco di suo padre nel movimento di resistenza maquis, partecipò a diverse missioni e condusse in Spagna attraversando i Pirenei dei paracadutisti Britannici. Georges affermava che il suo senso di urgenza – nella sua vita e nella sua arte- scaturì dalle esperienze di quegli anni. Alla fine del conflitto fu assunto dall’importante azienda aereonautica Turbomeca, a Pau, dove lavorò come designer e progettista per quasi dieci anni. Fu nel 1956 all’età di 32 anni che abbandonò tutto e si trasferì con sua moglie e le sue due figlie a Parigi per diventare un pittore a tempo pieno.
Tra la prime scoperte che Noël fece arrivando a Parigi ci fu il lavoro di Jean Dubuffet. Data la sua antipatia per le estetiche della Scuola di Parigi e in vista delle sue esperienze con materiali non tradizionalmente legati alle belle arti, le Matierologies e Texturologies del 1957-59 ebbero un immediato effetto su di lui e ne condizionarono lo sviluppo durante gli stessi anni. Allo stesso tempo era affascinato dai “Graffiti” anonimi sui logori muri parigini immortalati dal fotografo ungherese Brassaï. I suoi primi dipinti parigini, dal 1957 al 1959, mostrano l’influenza di Dubuffet nelle loro superfici dense e pastose dai toni terrosi. Il suo interesse nei graffiti è visibile nei solchi e nei graffi tracciati con fare spontaneo ed ossessivo. A volte stendeva il medium con le dita, altre con il manico del suo pennello.
Gli anni 1959-1960 furono anni di transizione durante i quali allontanandosi dalla pittura ad olio, Georges Noël sperimentò altri supporti e tecniche. La texture delle superfici divenne più varia e meno viscerale, e la resa grafica più fluida ed incisiva. A volte creava dei supporti speciali unendo carta e tela in singoli fogli o in frammenti. La carta veniva lavata con inchiostri ad acqua e spesso, nel processo di scrivervi sopra la superficie era strappata dai suoi gesti, risultando in 

inaspettati incidenti, tracce spontanee di una psiche umana al lavoro.

Fu nel 1960 che Georges Noël inventò il suo vero medium personale – un mix di colla, sabbia e pigmenti in polvere. Invece di unire carta e tela (tecnica che a volte utilizzerà ancora), stendeva questo composto a mo’ di pasta e quando era parzialmente asciugato lo incideva con uno strumento affilato con gesti decisi e veloci. A volte sovrapponeva molti strati di sabbia, pigmenti e colla e raschiando uno o più strati superiori rivelava i colori delle superfici sottostanti. Questo medium permetteva una più ampia gamma di effetti - a volte traslucidi, a volte riccamente materici – e una migliore luminosità. Questo lo portò a una tecnica di stratificazione che battezzò il suo “Palimpsest style”. Il termine Palimpsest dal greco Palimpsestos, (palin di nuovo e psan raschiare), si riferisce alle tavolette di cera (in epoca Romana), e a volte pergamene e pelli animali, che venivano iscritte e raschiate per essere iscritte nuovamente. Questa pratica derivava dalla scarsità di materiali o dall’obsolescenza di scritti che venivano quindi sostituiti da scritture più attuali e aggiornate. Col passare degli anni in certi casi il testo sottostante diveniva più visibile a causa del deterioramento della superficie interferendo ed intrecciando il vecchio con il nuovo. Le tavole incise o pelli perciò, contengono e rivelano stratificazioni storiche, culture e memorie che sono ad oggi preziose per la conoscenza dei tempi antichi. Gli antichi palinsesti erano il modello di Georges Noël, una citazione tecnica ma anche densa di significato.

Nel trascorrere dei decenni dal 1960 gli scrittori hanno enfatizzato i singolari medium e tecniche che distinguono l’arte di Georges Noël. Su queste basi lo hanno relazionato al movimento informale dell’epoca (che include Dubuffet, Fautrier, ma anche Tàpies, Alberto Burri, Fontana, Vedova), una connessione che l’artista non ha mai disconosciuto. Ciò detto si potrebbe obbiettare che nonostante il medium e la tecnica siano indubbiamente degli aspetti determinanti del processo creativo di Georges Noël , le sue scritture o ècriture sono una parte altrettanto significativa del suo personale modo espressivo. Nel 1959, come abbiamo visto, il suo stile era caotico ed aggressivo, lasciando trasparire un’energia indiretta che permeava il piano della superficie . Rifletteva uno stato mentale impaziente ed ansioso, come se avesse già sprecato troppo tempo (aveva già quasi 35 anni). Negli stessi anni cominciò comunque a ricevere dei riconoscimenti. Alla fine del 1950 entrò nella Galleria Paul Facchetti a Parigi e vi ebbe la sua prima mostra personale nel 1960, seguita da una personale presso la Galleria Lorenzelli a Milano nel 1961. Nel 1961 il suo segno è più rilassato, morbido e più lirico, il caso gioca un ruolo maggiore e lo spazio nelle sue campiture è più aperto e centrifugo. Per Georges Noël la calligrafia in queste pitture esprimeva energia umana, non solo fisica ma spirituale, nel senso più ampio e profondo del termine: universale inquanto metafisica, generica (o energia di tutti gli uomini), ciò nonostante colorata da un clima personale e dalle sue emozioni quale individuo nel momento della realizzazione. Corrispondeva ad un (relativo) chaos interiore o ad una (relativa) calma interiore, il risultante del suo confrontarsi col mondo e anche dei suoi incontri poetici (tra gli altri Mallarmè e Teilhard de Chardin). Questo tessere assieme diversi filoni o livelli di consapevolezza in un flusso di coscienza ci riporta all’idea di scrittura automatica: spesso parlava infatti di un impulso che lo attraversava e che non era in grado di controllare completamente. Questo era così vero che ammetteva che finito un dipinto, esso non corrispondeva mai pienamente a ciò che si era prefissato di realizzare. Perché una volta immersosi nel processo fisico e cominciato a gareggiare con la progressiva essiccazione del medium i suoi gesti divenivano automatici, la sua mente e la sua mano diventavano tutt’uno. Durante lo stesso decennio degli anni sessanta, Georges Noël si interessò di culture esotiche ed arcaiche e degli impenetrabili misteri dei sistemi di scrittura: calligrafia Giapponese, glifi Maya, geroglifici Egizi. Poco più tardi di arte e cultura Africana, le cui pratiche sciamaniche e modelli sacrificali attraevano la sua attenzione. L’aspetto che lo affascinava di tali circostanze era 

l’energia visuale da lui percepita come energia sacra e in alcuni casi la forza sciamanica e magica dei loro simboli e segni. Indecifrabili e incomprensibili per la mente razionale occidentale, lui li riconosceva carichi di significato che poteva essere compreso solo da un iniziato, e solo a livello inconscio da un occidentale. Tali incontri ispirarono nuovi registri di significato, nuove strutture e patterns e un nuovo repertorio di simboli. Da questo momento in avanti la sua nuova ambizione era di creare una forma di pittura che esercitasse un’attrazione magnetica sullo spettatore paragonabile ad un incantesimo.

 

Nel corso della lunga carriera di Georges Noël questa convinzione nel contenuto magico e nell’energia misteriosa dell’esperienza pittorica fu centrale nella sua pratica artistica. Dopo quattordici anni trascorsi vivendo e lavorando a New York dove elaborò uno stile geometrico nondimeno basato sugli stessi presupposti, tornò a Parigi nei primi anni 80’ e si riavvicinò al suo precedente stile di scrittura più libero. Egli stesso affermò: “Nel 1982 ritornai a Parigi… e il mio contatto con il contesto che avevo lasciato 15 anni prima creò il bisogno di ritornare al mio primo linguaggio pittorico. Inquanto, nonostante tutto ciò che avevo fatto, realizzai che l’informale era la mia passione ed il periodo esistenzialista di cui ebbi esperienza dopo la guerra basato sull’importanza dell’immediato, che diede nascita all’informale, era il mio elemento. Così intrapresi un nuovo periodo di pittura informale scavando nella mia stessa storia. Nonostante ciò [ciò che è diverso] c’è una più forte presenza di diagonali, un movimento centrifugo e una visione [più] cosmica.”

 

Dal testo di Margit Rowell, tratto dal catalogo Encountering Georges Noël, lorenzelli arte, Milano 2020.